“Non aprite quella porta” è certamente uno dei titoli più accattivanti e riusciti dei film horror. E a proposito di storie misteriose, ora vi racconto qualche curiosità di Lutti agli Achei in fatto di porte
Io trovo che non ci sia niente di più inquietante del corridoio vuoto del piano di un albergo. Se Stanley Kubrick voleva lasciare una traccia indelebile nella storia del cinema e soprattutto nella testa degli spettatori, almeno con me ha centrato in pieno il bersaglio quando in Shining ha ritratto insistentemente i corridoi dell’Overlook Hotel. Intendiamoci: Stanley Kubrick di tracce nella storia del cinema ne ha lasciate un bel po’ e la differenza non la fa certo la mia predilezione per i corridoi degli alberghi. Diciamo allora così: che ogni volta che percorro il corridoio di un albergo (preferibilmente deserto), non posso fare a meno di rivolgere un pensiero a Kubrick. La foto della copertina di questo articolo non è il fotogramma di un film horror: è una foto che ho scattato io attraverso l’eyehole della porta di un albergo di Manhattan. A proposito, dire eyehole non è snobismo da esterofili. Dai, converrete anche voi che buco dell’occhio smorza un po’ tutta quella bella tensione che avevamo provato a caricare parlando di Kubrick. E non venite a dirmi che spioncino risolve il problema… Comunque, superato il problema dell’eyehole (e tenetevi pure buco dell’occhio e spioncino se temete gli anatemi dell’Accademia della Crusca…), la questione è che io ho proprio un debole per alcuni ambienti come i corridoi degli alberghi. Anche per gli ascensori degli alberghi, a dirla tutta. E poi in generale per alcuni elementi delle costruzioni come le porte (qui in senso molto ampio: sia quelle delle camere d’albergo che quelle autentiche che separano un interno da un esterno). Inevitabilmente in Lutti agli Achei parlo quindi di corridoi di alberghi (e non a caso, come doveroso omaggio, cito anche l’Overlook Hotel), di porte delle stanze di quegli stessi alberghi e di porte che collegano – o separano – un esterno da un interno. Probabilmente un’occhiata da uno degli eyehole come quello della foto di copertina l’ha gettata anche il protagonista del mio romanzo perché in Lutti agli Achei appare ripetutamente in vari capitoli proprio quell’albergo del Financial District di New York.
Avete visto la porta della foto qui sopra..? A prima vista evoca un po’ Stephen King, effettivamente. Eppure esiste davvero: non è il set di un film horror. E’ il numero 10 di Grove Street nel notissimo Greenwich Village, a New York. Ah, beh: magari da quando ho scattato la foto alcuni dei post-it saranno stati sostituiti, d’accordo. Quantomeno: aggiornati. Quella porta è contigua con un’altra porta con cui ha a che fare il protagonista del mio romanzo. Quella porta al numero 8 di Grove Street, però, non ve la mostro. Ve ne parlo nel romanzo. Anzi: è A.G. – il mio personaggio – che ne parla a lungo. E anche in questo caso, se lui ne parla a lungo, un motivo ci sarà. Semmai posso dirvi che se la porta del numero 10 di Grove Street è strepitosamente suggestiva, anche le finestre non scherzano. Eccovi accontentati!
L’attrazione che su di me esercita ogni porta deve arrivare da lontano. Anche nel mio romanzo precedente – L’Aquila Cieca – ce n’è una importantissima. E’ quella della foto qua sotto.
E’ descritta accuratamente perché incornicia un episodio cruciale della trama del romanzo. Ah, per la cronaca, anche questa è una porta vera: si trova a Madrid, nel quartiere Lavapies. Eh, sì, lo so: evidentemente ci son cascato di nuovo, per dirla con Achille Lauro… Dopo L’Aquila Cieca, anche Lutti agli Achei è pieno di porte. Come quelle della foto sotto…
Che non ritrae il set di un film western, ma una strada ancora una volta nel cuore di Manhattan. Tanto per intendersi, gli edifici sullo sfondo si affacciano nientemeno che sulla Fifth Avenue a due passi da Washington Square. La strada si chiama Washington Mews. A.G. capita lì perché… Ah, beh, ma che ve lo dico a fare? Lo sapete perfettamente il motivo se avete letto Lutti agli Achei... E ricorderete senz’altro anche perché A.G. si trova a suonare il campanello di questo condominio di Berlino...
Al numero 95 di Adalbertstrasse. Parliamo di Kreuzberg: il quartiere di Berlino (dell’allora Berlino Ovest) che negli anni Settanta è stato il fulcro dell’immigrazione turca in Germania. All’epoca il perimetro del muro aveva confinato Kreuzberg in una sorta di spigolo di occidente dentro l’oriente della DDR e l’area, ben lontana dal fasto scintillante di Charlottenburg, si era trasformata nel quartiere alternativo degli artisti e degli immigrati.
Aspettate un po’; proviamo a scorrere i nomi che magari… Eh, no: non si riesce proprio a leggere niente! Maledetta privacy… Niente, per saperne di più bisogna proprio andare a leggersi Lutti agli Achei…
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